La selezione del paziente per la TAVI nel 2014: si può estendere ai pazienti a rischio intermedio-basso? Il punto di vista del chirurgo
L’introduzione dell’impianto transcatetere della valvola aortica (TAVI) ha rivoluzionato il trattamento dei pazienti sintomatici con stenosi aortica severa (AS), ed ha dimostrato effetti benefici nei pazienti ad alto rischio in diversi studi randomizzati.
Attualmente infatti, è in I classe di raccomandazione nelle ultime linee guida ESC/EACTS per i pazienti inoperabili, ad altissimo rischio.
In un recente articolo pubblicato sulla rivista Eurointervention, sono riportate invece, le perplessità dei cardiochirurgi sull’estensione dell’indicazione della TAVI alle categorie a più basso rischio.
Infatti, secondo gli autori della ricerca, attualmente esistono ancora dubbi sulle indicazioni alla TAVI in sottogruppi di pazienti non adeguatamente rappresentati nei trials, su cui bisogna far luce prima di estendere le raccomandazione della procedura alle categorie a più basso rischio. Tra questi ci sono i pazienti con fallimento di bioprotesi (per mancanza di dati univoci considerando l’eterogeneità delle procedure), i pazienti con aorta bicuspide (esclusi dai trials per l’alto rischio di rigurgito paravalvolare e di embolizzazione durante la TAVI), e pazienti con pura insufficienza aortica (esclusi dagli studi perché attualmente il rigurgito aortico significativo è ancora considerato controindicazione alla TAVI per la difficoltà di ancoraggio della protesi).
Inoltre i cardiochirurghi sottolineano che il rapporto rischio-beneficio nei pazienti a rischio operatorio basso-intermedio, deve esser attentamente valutato; considerando la maggiore aspettativa di vita dei pazienti, le eventuali complicanze peri/postprocedurali, potrebbero avere un importante impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Tra queste sono citate i leak (rigurgiti) paravalvolari (se di grado moderato sono predittori di mortalità), il danno miocardico (derivante dalla microembolizzazione distale di calcificazioni e/o materiale aterosclerotico), l’eventuale chiusura dell’ostio della coronaria destra, disturbi di conduzione e/o necessità di impianto di pace-maker definitivo (rischio più frequente rispetto alla SAVR, complicanze vascolari e danni cerebrali, valvulopatia mitralica iatrogena (maggior rischio di endocardite su valvola mitrale in particolare sul lembo anteriore), terapia antiaggregante ma soprattutto la durata del dispositivo (che dovrebbe almeno equiparare quella delle bioprotesi chirurgiche).
Attualmente però, in Europa alcuni pazienti a rischio intermedio sono trattati con TAVI senza apportare reali risposte ai dubbi/quesiti sollevati dagli autori nel suddetto articolo, che sottolineano l’importanza delle lezioni che derivano dal passato.
Tra queste ad esempio, l’estensione dell’angioplastica coronarica in pazienti con malattia aterosclerotica complessa che si è rapidamente diffusa (soprattutto dopo l’introduzione degli stent medicati); successivamente i risultati dei trials hanno evidenziato l’incremento degli eventi avversi rispetto alla rivascolarizzazione chirurgica in tale sottopopolazione.
Pertanto la qualità di vita dovrebbe esser testata prima di estendere le indicazioni della TAVI, ed attualmente, al di fuori degli studi in corso, non c’è indicazione per effettuare tale trattamento nei pazienti a rischio basso/intermedio.